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OBIETTIVI COME SOGNI. E VICEVERSA

Mercoledì, 26 Marzo 2014

Grazie Freddy Mercury. Hai trasformato una canzone in un'emozione.


Sinceramente non so davvero come iniziare.

Sapete cosa? È proprio vero che quello che conta, alla fine, è il percorso. Tutti i percorsi che viviamo in prima persona ci portano da qualche parte. A volte in bei posti, a volte meno. Anche molto molto belli o molto molto brutti. Tutti questi posti sono dentro di noi. Colorano i nostri stati d'animo, disegnano le nostre esperienze e scalfiscono indelebilmente il nostro cuore. Una volta ho sentito dire: "si parte per conoscere il mondo, si torna per conoscere se stessi".

Sono nato sotto il segno della Vergine: oltre a molte altre cose la Vergine è ordinata, per rendere meglio l'idea oserei dire, programmata. Non è sempre un bel viaggiare, ma è il modo che ha di vivere, di pensare, di essere.

Mi sono sempre dato degli obiettivi nella vita, spesso a breve termine. Non riesco vivere "alla giornata". Non riesco a dire: "va bene dai, come va, va...". Non voglio dire che sia giusto o sbagliato, non lo so sinceramente. Il punto è che non ci riesco. Bisogna essere sempre se stessi, no?

La scorsa estate, in un pomeriggio piovosissimo, presi la decisone di cambiare maglia e paese per inseguire uno dei miei obiettivi, uno dei miei sogni. Vincere la Champions League. Sentivo quella decisione come la migliore che potessi prendere in quel momento, così decisi di seguire per l'ennesima volta il mio istinto e diedi un nuovo inizio al mio percorso. Tra mille giudizi e qualche discussione. Addirittura qualche minaccia, ma era la rabbia del momento, non lo so. Lo spero.

Mi resi conto subito di essere arrivato in un Club ambizioso, ricco e organizzato. Sono stati mesi di grandi soddisfazioni: ho incontrato persone umili, che ti ringraziano quando fai una gentilezza, che ti chiedono di sorridere ancora di più (e pensare che io sorrido davvero spesso) quando qualcosa non va, che ti pregano di non protestare troppo con gli arbitri per tenere le energie solo per la squadra, e ancora, che ti salutano ogni giorno con una stretta di mano e un abbraccio, che ti chiedono "per favore, dammi quella cazzo di palla, la voglio!". Sono stati anche mesi dove non sempre tutto andava liscio come l'olio: la lingua e la cultura diverse non sono mai stato un grosso ostacolo ma a volte qualche problema l'hanno creato, poi il modo di allenarsi, la gestione del collettivo, insomma dinamiche diverse rispetto a quelle alle quali ero da sempre abituato. Ricordo la settimana in cui si disputavano le finali della Coppa di Russia. Una pressione forse mai sentita prima. Ricordo perfettamente, perché molto recente, il silenzio durante il riscaldamento prima della semifinale con lo Zenit Kazan, derby sempre molto molto molto sentito. La prima parte del riscaldamento si faceva in una palestrina piccola sotto al campo principale. Il silenzio era così rumoroso che ti snervava. Una sensazione quasi spettrale e difficile da gestire. E poi la mancanza di casa e tutte le cose e le persone che ritrovo in essa. Si, mi manca davvero tanto.

Sono arrivati i successi, la Supercoppa, la Coppa di Russia e ora quello più cercato, più sognato. La Champions League. Giornate indimenticabili, abbracci intensi e pieni di sudore. E cantare insieme tutti abbracciati "We are the champions..."!


Molte persone si sono fatte sentire in questi giorni, in questi mesi. Ringrazio davvero tutti, nuovamente.

Spesso mi assento un po', lo so bene, ma se avete imparato a conoscermi sapete che non scrivo mai a caso e per caso. Quindi, grazie anche per la pazienza.

I miei obiettivi sono e sono stati esattamente i miei sogni. Sempre. Dal motorino, quando avevo tredici anni e contavo i giorni che mi separavano dal mio quattordicesimo compleanno, dove finalmente avrei potuto guidarlo, legalmente (mica ero sempre un bravo bambino io); alla patente della macchina, quando finalmente potevo portare i miei amici in giro, e non loro me, come sempre; dalle prime sfide provinciali tra scuole, ai primi stipendi profumati di indipendenza, e poi crescere e arrivare un giorno a poter giocare per vincere dei trofei. Nazionali, internazionali. Club e Nazionale. Sono sempre stato sufficientemente umile da capire che gli obiettivi, i sogni, vanno conquistati, vanno cercati ovunque, in ogni centimetro, come dice Al Pacino. E sono stato sufficientemente convinto (chi dice presuntuoso) che questi sogni li avrei realizzati. Erano tanto obiettivi quanto sogni. E viceversa. Dico così perché, secondo me, l'uno senza l'altro perdono di concretezza. Dai sogni ci si può staccare se non si ha la convinta intenzione di agire e gli obiettivi invece rischiano di diventare un'ossessione se si ha paura di fallire.

Vincere la Champions League è stato da sempre un mio grande obiettivo, un mio grande sogno! L'averlo realizzato riempie di gioia, ma credo, ora più che mai, che il percorso riempie di più! Il risultato lo vedono tutti, un po' come quando scopri di aver ottenuto il diploma. Sta lì nella bacheca, e tutti lo possono vedere. Il percorso, invece, rimarrà per sempre tuo, nel profondo della tua intimità. Intoccabile. E credo sia proprio per questo che il percorso regali le emozioni più autentiche.

CAMPIONI DEL MONDO

Lunedì, 12 maggio 2014




La stagione è finita. Come è iniziata è anche terminata, cioè con un abbraccio lungo e intenso sul gradino più alto del podio, coriandoli che piovono sopra noi, una medaglia d’oro al collo e una coppa da alzare al cielo. E poi urlare e ancora urlare di essere campioni! Ieri sera a Belo Horizonte, di essere Campioni del Mondo. Non poteva esserci un finale migliore alla fine di una lunghissima e soprattutto estenuante stagione. Le energie stentavano spesso in questa ultima settimana, il gioco non è mai stato ‘’il nostro gioco’’ ma siamo stati capaci, nel momento più delicato e nervoso della stagione, a tirar fuori qualcosa da dentro che non c’entra nulla con la battuta forte o una ricezione perfetta o ancora con una difesa senza muro. Quest’ultima è stata decisamente la vittoria di un collettivo, dai giocatori allo staff, dai tifosi alla città. Una vera ciliegina sulla torta, ma in questo caso la ciliegia era ona ona ona.


Questo ultimo torneo, Mens’s Club World Championship 2014 a Belo Horizonte (Brasile), mi ha fatto divertire ma mi ha anche deluso sotto alcuni aspetti.

Mi sono divertito perchè giocare a pallavolo è sempre divertente, è stato divertente e decisamente piacevole mangiare in Churrascaria, tipico ristorante brasiliano dove si mangia dell’ottima carne alla brace. Camerieri che girano con spadoni infilzati in un succulenti pezzi di carne sempre varia, tenera e particolarmente gustosa. Veloci e simpatici.

Deluso, invece, da ben altre cose, purtroppo. Il torneo è stato organizzato, promosso e voluto dall’Fivb. E devo ammettere che l’organizzazione non è stato al livello di un campionato del mondo. Assolutamente no. Io sono un giocatore e ho, come credo tutti gli atleti, le mie piccole ma dovute (credo) esigenze. Ad esempio, le docce fredde no, dai!!! Ogni sera, e sottolineo ogni sera, dopo le partite le docce variavano dal freddino al ghiacciato. Se voi che state leggendo siete atleti, chiudete gli occhi e immaginatevi per un attimo di essere in uno spogliatoio, quanto è bello dopo una bella sudata, buttarsi sotto un bel getto di acqua calda? E’ un orgasmo diciamo la verità. La doccia fredda è fastidiosa come un hostess che fa su e giù per il corridoio dell’aereo ogni santo minuto (come in questo maledettissimo momento), e io che ho le gambe lunghe regolarmente faccio fallo (passivo) da cartellino giallo. Ma che stiano un po’ attente anche loro per la miseria. Pam, eccone un’altra. Voglio uscire da questo aereo!

Inoltre, la distanza dal campo di gioco. Un’ora di pullman. Anda e rianda siamo già a due ore. Se facciamo poi allenamento alla mattina e gara la sera sommiamo due anda e due rianda così ne facciamo quattro di ore. Come se non bastasse quasi sempre non era possibile fare l’allenamento mattutino di rifinitura al palazzetto di gioco. Va bene, in effetti era parecchio distante, forse non ne valeva nemmeno la pena. Così ce ne segnalano un altro, ad un’ora di distanza dall’hotel anche quello. Incredibile.

Chi giocava alle 14 non si allenava ovviamente, chi giocava alle 17 nemmeno (ricordo che si giocava ogni giorno), perchè vinceva nettamente 3-0 la rottura di scatole del trasferimento contro la sempre gradita attivazione con la palla. Noi ci abbiamo provato una volta ma è stato come passare una giornata in un frullatore. Spostamenti lenti, il resto (riunione video, pranzi, cene, merende e riposo)…fatto, fatto, fatto, fatto…via, andiamo a giocare. Tutto di corsa. Insomma era fastidioso. Ovviamente c’è sempre di peggio, ci mancherebbe altro ma se si vuole fare bella figura in un campionato del mondo per club bisogna decisamente essere all’altezza dell’evento. In campo e fuori.

Tema palazzetto: il più grande che abbia mai visto in vita mia. Più che un palazzetto era uno stadio, chiuso. Ventitremila posti più o meno. Immenso davvero. Ma a anche se è capitato molto raramente che si presentassero sulle vertiginose gradinate tra le tremila e le cinquemila persone il palazzetto era desolatamente vuoto nella maggior parte delle partite. Se si vuole pubblicizzare il nostro sport si è persa decisamente l’ennesima ghiotta occasione per farlo.

Arbitri, altra nota dolente. Non supportati dal video check, e non si capisce il perchè data l’importanza della posta in palio. Ho sentito dire da qualcuno che il video-check forse sta creando troppi problemi per gli arbitri e per i giocatori in campo. Ma per carità, il video-check è una manna dal cielo che aiuta gli arbitri, aiuta i giocatori e concentrarsi solo sul gioco e aiuta il pubblico a godersi uno spettacolo pulito. Il video-check è preziosissimo, Gli arbitri senza video-check perdono di qualità. Un’ulteriore riflessione la vorrei fare però su questo tema: i migliori campionati, lo sappiamo tutti, si trovano in Russia, in Brasile, in Polonia, in Italia e in Turchia. Di conseguenza sono convinto che gli arbitri che ogni domenica scendono in campo per arbitrare, in questi sopracitati campionati, partite di alto livello approfittano di una preparazione migliore in ottica anche di eventi di fama internazionali come il Mondiale per Club, che avvengono nel bel mezzo della stagione (almeno fino alla penultima edizione) o appena conclusi in vari campionati nazionali (come in questo caso). E’ come se io mi allenassi un anno intero con la squadra del Liechtenstein (con tutto il rispetto per esso) e poi mi presentassi comodo comodo alla prima partita della World League con la Nazionale Italiana, o Russa o Brasiliana e come d’incanto diventassi un giocatore pronto ad affrontare partite di alto livello. No, non funziona così per gli atleti, non funziona così per la maggior parte dei lavori che esistano in questa terra. E non funziona così nemmeno per gli arbitri. Concludo questa riflessione dicendo che bisogna essere allenati alla velocità della palla, alla tensione dei finali di set, all’esperienza di più e più partite per poter arrivare pronti ad aventi importanti. E poi bisogna che tutti gli arbitri sappiano parlare l’inglese. Cacchio.

Tengo per ultima la riflessione, forse, a cui più tengo riguardo a questo Mondiale per Club sul tanto discusso torneo della squadra dell’Al Rayyan. Documenti presumibilmente irregolari, immediate e giuste squalifiche, ma poi nessuna penalità ai risultati ottenuti schierando in campo un giocatore che non poteva giocare; una squadra allestita da campionissimi per una settimana con contratti brevi ma onerosi, molto onerosi.

Io la penso così: chi ha i soldi è giusto che li spenda come vuole, sono suoi del resto. Basta che non ci costruisca bombe atomiche con quei soldi va tutto bene. E’ giusto anche decidere di accettarli quei soldi, tanti, pochi o tantissimi che siano ognuno ha il diritto di deciderlo per se stesso e il perchè lo si faccia credo che nessuno abbia il diritto di giudicarlo. Secondo il mio modo di vivere lo sport il dubbio mi sorge quando penso a quando ero bambino. I miei allenatori, i miei genitori e i miei compagni di squadra più grandi mi hanno sempre insegnato, spronandomi, che per il gioco di squadra bisogna darsi, darsi e continuamente darsi. Perchè una squadra cresca c’è bisogna che quella squadra perda insieme, vinca insieme, soffra insieme, gioisca insieme. Si litiga, si ride, si piange, si esige e si pretende. Tutto questo lo si fa insieme. Per tanto tempo. Perchè il tempo, insieme alle esperienze, fa si che una squadra possa crescere vivendosi. Il valore che mi ha toccato dentro pensando a questa singolare situazione è stato proprio l’annullamento di un valore per me fondamentale, cioè il sacrificio. La domanda che mi sono fatto è stata questa: ma, allora non conta più allenarsi insieme per una stagione insieme, passare attraverso tutte le gioie e i dolori che una vita da sportivo ti può regalare o togliere? La vita dello sportivo è questa, ovvero avere il coraggio e la forza ti passare esattamente attraverso a questo tornado di emozioni e esperienze. Con i tuoi compagni. In questo modo una squadra costruisce.

La squadra qatarina ha perso la finale del Campionato Asiatico contro la squadra iraniana (presente, infatti, a Belo Horizonte grazie a quella vittoria che la qualificò per meritocrazia sportiva), ma ha ottenuto comunque la qualificazione al Mondiale per Club grazie ad una (delle due) Wild Card consegnate dall’Fivb. Inoltre, per qualificarsi alla fase finale del Campionato Asiatico era fondamentale vincere il proprio Campionato Nazionale, o arrivare in finale, ora non ne sono molto sicuro, ma poco importa. Il punto è che in tre diverse manifestazioni (Campionato Nazionale, Campionato Asiatico e Mondiale per Club) l’Al Rayyan ha giocato con tre diverse formazioni comprando svariati giocatori stranieri per ogni singolo torneo. Onestamente dico anche che, comunque, riuscirei a capire l’acquisto di uno/due giocatori stranieri da integrare alla propria rosa (creando così una regola ufficiale e intransigente uguale per tutti) per il semplice fatto di rendere la propria squadra più competitiva in un torneo che è giusto che sia il più competitivo possibile ma cambiare quasi completamente una squadra per tre volte, e tutte e tre le volte diverse tra loro, nel giro di un mese circa non lo trovo affatto coerente con i valori dello sport. Detto questo, credo che il problema stia a priori. Ovvero, se la squadra qatarina ha deciso di fare così evidentemente è perchè il regolamento lo permette. La pallavolo non ha fatto una bellissima figura in questo caso, secondo il mio modesto parere. Ci vantiamo sempre che la pallavolo si differenzi da tanti altri sport, bene, allora abbiamo perso una preziosa occasione per dimostrarlo, perchè questa volta abbiamo toppato in pieno. O meglio, chi fa e chi ha fatto le regole ha toppato in pieno.


Me ne sto tornando a casa! Che sensazione unica. E’ stata una stagione molto intensa, ma piena di soddisfazioni e ricordi indelebili. Indimenticabili. In questo momento, sono seduto in aereo, tutti dormono e io no. Rosico. La sensazione è di essere spremuto come un limone o come un’arancia, a voi la scelta. Ho dato tutto fisicamente e mentalmente, ho ricevuto tanto, tantissimo. E come tutti i finali di stagione c’è quella sensazione di malinconica nostalgia contrastata e accompagnata dalla gran voglia di riabbracciare la mia famiglia e i miei amici. La voglia di risentire l’odore di casa.

Due gironi soltanto però. Già il 14 raggiungo i colori azzurri a Roma.


Un abbraccio a tutti.

PRONTI VIA!

Mercoledì, 28 maggio 2014




Come ormai avete potuto notare è iniziata la stagione azzurra. Ed è iniziata pure molto bene. Siamo tornati dal Brasile 48 ore fa, dopo un viaggio interminabile, con la nostra ormai affezionata compagna di viaggio che ci aiuta a far passare il più in fretta possibile le lunghe e scomode ore trascorse in aereo. Lei si chiama melatonina.

Ora ci troviamo a Trieste, già operativi. Venerdì e domenica sfidiamo in casa l’Iran. Ma ora parliamo del Brasile.

Tante sono state le cose belle che abbiamo vissuto. Prima di tutto il fatto di ritrovarsi, dopo un po’ di mesi, in un campo di gioco con la maglia della nazionale addosso. Non c’è maglia che tenga, è unica. Sembra come quando Spiderman o Superman o Batman mettono i loro costumi per difendere il proprio paese. Poi, l’ambiente che abbiamo trovato. Speciale. E ancora, la poco piacevole umidità tropicale del Sud America e infine la deliziosa carne mangiata al Churrasco, per festeggiare insieme, dopo la doppia vittoria.

Ci siamo ritrovati appena qualche giorno prima della trasferta e abbiamo capito subito che la cosa importante da portare in valigia, piuttosto che un’eccellente tecnica, erano volontà, pazienza e tanto entusiasmo. Il resto sarebbe venuto da sé e infatti oltre ad aver vinto due partite affascinanti siamo stati anche capaci di stare bene in campo. Ordinati, precisi quanto basta, cinici e quasi per nulla spreconi. Maturi mi viene da dire. Ho letto un titolo su internet poco dopo la partita (non so se la prima o la seconda, non ricordo): “L’Italia fa il Brasile e vince 3-1”. “Ma perchè?” mi è venuto da dire girandomi verso chi era con me in quel momento. Non nascondo che mi ha dato fastidio anche se poi ho ripreso subito a riderci su. Che ve lo dico a fare. Insomma, noi abbiamo fatto l’Italia. Punto. Non mi dilungo a spiegare ragionamenti, pensieri su questa piccola parentesi informatica ma diciamo che un titolo così avrebbe avuto più senso lo mettesse un giornalista brasiliano, non uno italiano. Non credete?

Che cornice che abbiamo trovato. Abbiamo giocato la prima partita nel primo pomeriggio di venerdì e la seconda la mattina successiva alle 10. Come al solito siamo arrivati al palazzetto un’ora e un quarto prima del fischio d’inizio per i vari preparativi pre-gara. Mi sono affacciato un secondo prima di entrare in spogliatoio e il palazzetto era tutto colorato di giallo, completamente pieno e la gente festante che ballava a ritmo di musica seguendo le gesta di un simpatico vocalist che faceva ancor più impazzire il pubblico sulle gradinate con ole, giochi e balli. Questo si che si chiama ‘organizzazione di un evento’. Quando la gente viene al palazzetto e si diverte (prima, durante e dopo la partita) e vede uno spettacolo, e non solo un match di pallavolo, allora l’obiettivo è stato raggiunto. Secondo me. Al di là di chi vinca o chi perda la gente sta bene, è spensierata e sprizza energia positiva. Un vero successo sociale. Sono rimasto piacevolmente colpito da questa cultura e sapete bene che, ogni volta che vado in qualche paese, mi piace cogliere questi piccoli grandi particolari.

E infine il Churrasco. Merita. Eccezionale. Io amo la carne alla brace, infatti quando torno a casa dai miei genitori io e mio papà (ma anche mia mamma è diventata ormai un fenomeno) facciamo a gara per cucinare il cibo in una serata perfetta: Un bel tavolo all’aperto, poco più in là la carne su la griglia di un bel camino fumante e una bottiglia di vino appena stappato. Famiglia e amici. Ma chi t’ammazza?


Ora siamo in Italia, a casa, e non vediamo l’ora di scendere in campo. Con voi.


A presto.

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Giovedì, 16 Ottobre 2014



Non vi sarete mica arrabbiati con me per qualche giorno di assenza? Ok, qualche mese. Lo ha detto Einstein: ‘’il tempo è relativo’’.

Scrivo sempre e soltanto per piacere, ovvero quando il mio istinto si trova d’accordo con la tastiera del computer o con una matita, quando mi capita di usare il metodo più tradizionale e antico scrivendo su carta.

Per un po’ avevo perso questo piacere. Insomma, condividere non è mai facile. Soprattutto quando si tratta di gioie e di dolori. Di emozioni. Pensateci bene, ma bene bene. Secondo me in tanti vi troverete d’accordo con me su quello che sto per dire. Le gioie, capita quasi sempre di condividerle con tutti inizialmente, ma fondamentalmente solo con poche persone, a volte in compagnia solo di se stessi, si riesce ad apprezzarle davvero; i dolori, invece, inizialmente ci rendono profondamente introspettivi e spesso capita di tenerli dentro per ore, giorni o addirittura anni. Ma quanto ci sentiamo meglio quando riusciamo a sfogarci con qualcuno di cui ci possiamo fidare, con cui riusciamo a condividere questo dolore? Molte volte mi è successo di essere estremamente felice di aver vissuto qualcosa, di aver ottenuto qualcosa, ma riuscivo a godermela meglio solo quando mi ritrovavo in macchina da solo, o sotto la doccia in coppia coi miei pensieri, o a casa quando chiudevo la porta e tutto il ‘rumore’ dall’esterno svaniva. Coi dolori spesso sono un disastro: non dico ‘’A’’ nemmeno sotto tortura.

Sapete tutti che gli ultimi mesi estivi non sono stati entusiasmanti. Il nostro Mondiale è andato male, molto male. Quando si perdono molte partite le cause sono tante, ma diventando introspettivi (come succede quando si vive e rivive il dolore) ci si rende conto che queste cause diminuiscono ma hanno un peso specifico enorme. Pensate ad un palazzo: tante possono essere le finestre rotte, gli infissi storti, le pareti crepate e i pavimenti sporchi, ma il palazzo resta in piedi. E’ brutto ma resta in piedi. Se invece sotto al palazzo le fondamenta sono state fatte con poca cura, con poca attenzione, con poco amore, il palazzo alla prima scossa crolla, e crolla tutto quanto. Sia le finestre rotte, sia quelle intatte e luccicanti.

Se ripenso a Vienna 2011, a Londra 2012 e a Copenaghen 2013 questo palazzo, in cui vivevano molte persone, stava in piedi, e pure assai saldamente. A volte era bellissimo, splendente, con colori accesi. A volte era sporco e con qualche pezzo da sistemare, ma non cadeva nemmeno se passava “l’undici settembre”. E io lo so, cazzo se lo so. Quest’estate è caduto facendosi molto male.

Ora sta solo ed esclusivamente alle persone che abitano, o che abiteranno questo palazzo volerlo rimettere in piedi, tirandosi su le maniche e indossare l’elmetto del minatore. E, come sempre, anche in questo caso, la differenza la faranno le persone. Gli uomini. I valori che avranno, l’amore che daranno, la fatica che faranno per ricostruire un palazzo forte quanto prima. Forse anche di più. Si, perchè questa è l’occasione perfetta per diventare migliori di quello che si era, non solo rispetto a qualche settimana fa, ma anche a quando le cose andavano bene. Nessuno aiuterà questi uomini, anzi.

Mi è venuta in mente ora questa metafora del palazzo, l’ho scritta di getto, non è poi tanto male.

Quando ci si ritrova nella ‘merda’ bisogna saper nuotare da soli. E un’altra volta ce ne siamo resi amaramente conto. Ormai è noto che quando l’Italia perde, in parecchi sono quelli che godono. Questo lo sappiamo orami da un po’, ma ogni volta non riesco a non rimanere allibito. Potrei scrivere un libro su questo argomento, ma queste settimane hanno aiutato a farmi capire che spendere energie su un argomento triste come questo lascia il tempo che trova, che tra l’altro sarebbe tanto, quindi meglio usarlo diversamente. Tuttavia è un problema serio, perchè è lo specchio di una società, scusatemi se mi permetto, profondamente malata. E poi ci lamentiamo della crisi. Le crisi, i successi, le cose belle e le cose brutte le formano, le creano, le persone. Punto. Non si scappa.

C’è chi soffre come noi e siete in tanti, e anche se è brutto soffrire, io ve ne sono grato. Bisogna avere sempre il coraggio di vivere i bassi che la vita ci offre, sapendo reagire e fidarsi di se stessi. Cercare di stare con persone che aiutano a formare un’atmosfera positiva intorno a se, perchè solo all’interno di essa si possono costruire grandi cose.

Lo spogliatoio ho sempre detto che è un luogo unico, sacro. Lì dentro si affrontano i problemi e si vivono le emozioni collettive prima e dopo una partita. Ecco perchè credo che essere una squadra sia anche voler vivere questi momenti difficili proprio con la squadra, perchè essa deve trovare la forza di crescere attraverso queste esperienze, ammettendo i problemi e di conseguenza cercare di risolverli. Tutto all’interno dello spogliatoio, senza sbandierare bollenti giudizi a destra e a manca. Soprattutto quando qualcuno “non vede l’ora di ascoltarti”. Durante i giorni in Polonia ho avuto la fortuna di sentire un commentatore (che stimo poco lo ammetto) che giudicava il nostro ‘silenzio’ (e non solo quello, ma se ci ripenso rabbrividisco, quindi finisco il concetto che mi interessa di più) nelle interviste o in generale nella scelta di non dire tutto a tutti, come assenza di coraggio, di attributi, di palle. Io, invece, penso esattamente l’opposto. Forse sono matto ma quanto sarebbe stato facile, a caldo, puntare il dito su tutti tranne che su se stessi? Sarebbe stato un gioco da ragazzi. Si perdeva, chi giocava di più, chi meno, chi male, chi peggio e bla bla bla fino a domani. La mente umana, è scientificamente provato, che nelle grosse difficoltà, in mezzo ad un numeroso gruppo di altre persone coinvolte nell’analoga situazione, tende a parasi il culo. Si, a pararsi il culo, lo ridico. E’ molto più difficile in quei casi, secondo me, mandare giù un bel pezzo di cacca, e avere il coraggio di portare tutti i pensieri e le incazzature con se e posarle sul tavolo di quello stanzino tanto magico: lo spogliatoio. E affrontare davvero i problemi. Prima o poi ma affrontarli lì dentro.

E’ dura accettare un tredicesimo posto (questo numero mi perseguita) in un Mondiale, ma ora è quello che serve fare. Accettare, imparare dall’esperienza che si è vissuta e usarla per migliorare il futuro. Per apprezzarlo ancora di più.


E poi c’è stato il Mondiale femminile. L’ho seguito con poca costanza ma le ragazze hanno fatto innamorare tutti. E so bene quanto è brutto arrivare giù dal podio per un pelo soprattutto dopo un percorso entusiasmante come loro hanno saputo fare. Io mi sento di fare a tutte loro dei gran complimenti e di ringraziarle per aver regalato passione e per essere state d’esempio per tutto il paese. Il mondo della pallavolo, grazie a loro, ora è migliore.


Sono in Russia e anche se la mia schiena stamattina si è bloccata (non ricordavo facesse così male) sto benone. Ieri c’erano 22 gradi qui e sono sicuro che la settimana prossima comincerà a nevicare. Pensate che a Kazan, più o meno dieci giorni fa, ha nevicato per qualche minuto. Ero lì per giocare la Supercoppa, ed è vero che Kazan è più vicina alla Siberia di quanto non lo è Belgorod, però è stato davvero buffo: la neve agli inizi di ottobre!!!


Vado ad allungare i miei poveri lombari.


Vi abbraccio.